14c3aec1a8_3195232_medEugenio Borgna, decano degli psichiatri italiani, con bruciante semplicità definisce la contenzione fisica come: “l’essere legati, sottratti a ogni libertà possibile e immersi in uno spietato isolamento”e anche “la contenzione frantuma ogni dimensione relazionale della cura, e fa ulteriormente soffrire esistenze lacerate dal dolore, e dall’isolamento; e la contenzione scende come lacerante ghigliottina sulla loro vita psichica: ricolma di sensibilità e di fragilità, di nostalgia della vita e della morte”.(in G. Del Giudice, “…e tu slegalo subito” – collana 180.Archivio critico della salute mentale. Edizioni AB Verlag. Merano)

La questione della contenzione, dei mezzi coercitivi, ha accompagnato la storia della malattia mentale e del suo trattamento. Un’ombra ingombrante e spinosa che ha sempre prodotto interrogativi sulla sua correttezza.

Alcune figure luminose della storia di questa disciplina, già nel corso del XIX secolo, si sono battute per l’abolizione della contenzione.

Già dalla seconda metà dell’Ottocento era noto che la contenzione, ma soprattutto il suo uso ordinario e protratto, producesse regressione totale, riproducesse e alimentasse nel paziente sentimenti di bassissima autostima e/o al contrario desiderio di rivalsa. Molti pensano che la legge 180, la chiusura dei manicomi e la restituzione di diritto alle persone con disturbo mentale abbiano di per sé cancellato da tutti i luoghi della psichiatria l’idea stessa di contenzione. Al contrario, accade che solo pochi istituti, un esiguo numero di psichiatri e pochissimi amministratori si pongano il problema.

L’art. 13 della Costituzione[1] e la stessa legge di riforma psichiatrica dovrebbero quanto meno introdurre un elemento di dubbio e di preoccupazione. Il malato di mente, ancora oggi sembra scomparire agli occhi degli psichiatri e degli operatori di giustizia  come cittadino e come soggetto di diritto.

È quanto mai evidente che né il ricovero coatto nell’Ospedale Psichiatrico  pre ’78, né l’internamento a qualsiasi titolo in Opg, né tantomeno il ricovero in Trattamento sanitario obbligatorio (Tso) in un Spdc autorizzino la contenzione fisica. L’art. 14 della Costituzione dice che “gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali, sono regolamentati da leggi speciali” precisa che la contenzione, per essere attuata, necessiterebbe di specifiche leggi. Né gli ospedali psichiatrici, né gli Opg, né tanto meno i Spdc sono mai stati regolamentati da leggi speciali, o qualsivoglia deroga a leggi ordinarie, che facciano riferimento e giustifichino l’uso della contenzione.

La ripetitività delle pratiche nei luoghi della psichiatria smentisce, nella quotidianità banale di gesti e comportamenti, qualsiasi possibilità di problematizzazione.(in S. Rossi (a cura di), “Il nodo della contenzione”– collana 180.Archivio critico della salute mentale. Edizioni AB Verlag. Merano)


[1] Costituzione italiana, art. 13: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna didetenzione, di ispezione o perquisizione personale né ogni altra restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell’Autorità Giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.

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