Manicomio criminale, queste due parole sembravano ai più termini crudi, duri meglio cambiarle in quelli più tecnici ed eleganti di “Ospedale psichiatrico giudiziario”, con l’illusoria convinzione che solo questo potesse bastare a rendere meno drammatica la realtà degli Opg e a sanare situazioni che relegano gli internati in un girone infernale dove regna sovrana la disumanità. La legge 180 del 1978 puntava all’abolizione dei manicomi e a creare “Servizi di diagnosi e cura” ma anche “appartamenti protetti” e altre strutture d’appoggio per ex degenti manicomiali o per nuovi utenti dei servizi psichiatrici. La legge, a tutt’oggi, è stata applicata per i manicomi normali solo in alcune zone d’Italia ma, di sicuro non mai funzionato per i “manicomi criminali” ora ribattezzati Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), che sono rimasti immutati.

L’Ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli, ospitato nella stessa struttura del carcere di Secondigliano, è un esempio illuminante di come un luogo deputato alla cura e alla riabilitazione (si chiama ospedale per questo), in realtà sia solo un’aria di parcheggio per diseredati e abbandonati.

Un posto dove miseri e derelitti sono lasciati a marcire in luoghi putridi e dimenticati da Dio e dagli uomini. Un posto dove i reietti possono stare lontani dagli occhi dei “sani” e “normali” benpensanti di una società sempre più miope.

Se a qualcuno capita di visitare un Opg, salta agli occhi che, esattamente come nelle carceri, le priorità principali in queste strutture non sono la cura e la terapia ma la detenzione e a sicurezza. Ma chi finisce negli Opg? Non tutti sono criminali violenti e maniaci, anzi spesso questi luoghi sono affollati da quanti, per problemi psichici, potrebbero creare problemi alle loro famiglie e alla società.

Dopo la chiusura dei manicomi sancita dalla legge 180, la maniera più semplice per liberarsi di una persona difficile da gestire è diventata la denuncia. Così molte famiglie che si trovavano nell’impossibilità o nell’incapacità di fronteggiare la malattia mentale sono ricorse all’allontanamento dei loro familiari denunciandoli. In seguito può capitare – e capita di sovente – che anche dopo due anni, anche una volta accertato l’estinguersi della pericolosità sociale, si resti “dentro” perché fuori non c’è una famiglia o una struttura sanitaria territoriale disposta ad accogliere il vecchio paziente.

Insomma, molti non scontano una pena, perché non possono ritenersi colpevoli dei reati che hanno commesso, ma vengono “parcheggiati” in manicomio per “sicurezza”. Ed ecco che all’interno si trova chi, dopo un reato lieve, è prosciolto in sede di processo con prescrizione della “cura”; chi impazzisce dopo la condanna in carcere e chi è matto a metà (i seminfermi). Si può trovare anche chi, del tutto sano di mente, paga per evitare il carcere ed essere rinchiuso nella “casa di cura”. Scelta, quest’ultima, poco vantaggiosa per il reo, perché, a differenza delle carceri, negli Opg, vige l’incertezza della pena.

Non punibili, in quanto dichiarati incapaci di intendere e di volere, i ricoverati/carcerati non sono condannati a una pena in senso stretto, ma vengono sottoposti a una misura di sicurezza che a seconda del reato commesso e del parere del giudice giudicante può essere di 2, 5 o 10 anni. Al termine dei quali sarà ancora il giudice a esprimersi sul loro caso e la loro condizione futura. Sono definiti anche “ergastoli bianchi”, perché, per qualcuno di loro, di cinque anni in cinque anni dentro questi “ospedali” finiscono per passarci la vita.

Grazie alla riforma della medicina penitenziaria, ora di competenza delle Asl, gli Opg possono essere di esclusiva competenza sanitaria, regionalizzati e magari distribuiti in piccole strutture medicalizzate, con sorveglianza e sicurezza solo esterna, mentre accanto ai malati internati dovrebbero esserci medici, infermieri e attività di recupero. Ma tutto questo per ora rimane solo sulla carta.

Manicomi criminaliA conferma di quanto detto arriva l’ultima denuncia del capogruppo regionale Tonino Scala che il 9 novembre ha guidato, in visita ispettiva all’Opg di Napoli, una delegazione della quale facevano parte anche Dario Stefano Dell’Aquila, presidente dell’Associazione Antigone Campania e Samuele Ciambriello dell’Associazione Città Invisibile. Una denuncia che parla di degrado, abbandono, tanto sporco, rischio epidemie, promiscuità inaccettabile nell’uso dei servizi igienici, sovraffollamento e letti di contenzione, veri strumenti di tortura.

In seguito a tale denuncia una commissione ispettiva, formata da psichiatri dell’Asl e funzionari dell’amministrazione penitenziaria, è stata incaricata di verificare le condizioni degli internati. “Accolgo con piacere e una punta di amarezza la notizia che finalmente è stato deciso di indagare a fondo sulle condizioni in cui versano gli internati”. – Con queste parole Scala ha accolto la notizia.

“Non sempre è facile trovare le parole giuste per descrivere ciò che si prova in alcuni momenti. Certo, è più facile descrivere ciò che si vede ed io ho visto. Ho verificato personalmente che nell’ultima settimana sono stati legati al letto di contenzione due internati. Uno di questi, R.H., ragazzo di 21 anni, straniero che rimasto allettato per oltre tre giorni al momento del suo ingresso nella struttura. Ho visto un essere umano seminudo, in una cella vuota senza nemmeno il letto e muri coperti di escrementi”. – ha continuato Scala – “ho parlato con questo mio simile e lui mi ha risposto, impaurito, infreddolito ma lucido e coerente. Se sono soddisfatto del fatto che le mie denunce hanno avuto seguito? Lo sono come lo è chi di solito assolve il proprio dovere, ma rimane tanta amarezza nel constatare che tutto ciò possa accadere, che bisogna ricorrere a denunce per ottenere che si muova qualcosa in direzione della tutela di diritti naturali come il diritto alla salute, alla dignità personale e alla vita stessa”.

“Carceri e, soprattutto, Ospedali psichiatrici giudiziari, o meglio manicomi criminali, – ha spiegato il capogruppo – meritano più attenzione da parte delle istituzioni tutte, perché è l’essere umano che merita attenzione e rispetto. Ben vengano le verifiche, ma non bastano. Necessitano ben altri tipi di interventi di natura sociale atti a costruire una rete di comunità territoriali che siano in grado di accogliere il malato psichico garantendone tutela, cure, e riabilitazione”.

“Per questo – ha concluso Scala – ho presentato un’interrogazione al Presidente Bassolino per sapere, fra l’altro, perché certi episodi si verifichino e quali siano state le misure adottate dalle ASL competenti di Napoli e Aversa nel caso specifico, se sia stato stilato un programma operativo e strutture di raccordo con le altre ASL, regionali e non; e, infine, quali siano i programmi di socio riabilitazione previsti nell’OPG di Napoli”.

Eleonora Gitto

tratto da: http://www.ecostiera.it/ 25/11/2009

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