di Nico Pitrelli

“Pazzi come noi” è il titolo provocatorio di un libro uscito a gennaio del 2010 riguardante gli effetti dell’esportazione delle idee americane sulla malattia mentale. All’epoca della pubblicazione il volume suscitò un ampio dibattito negli Stati Uniti. La polemica tenne banco su riviste come il New York Times Magazine e blog specializzati. A distanza di qualche mese anche la stampa italiana dà grande rilievo al tema con un articolo pubblicato qualche giorno fa su La Repubblica (L’inconscio globale, Mercoledì 28 Aprile 2010, p. 56) a firma dello psicanalista Massimo Ammaniti.

Di cosa si tratta? La discussione prende spunto, come già accennato, da un libro intitolato Crazy Like Us. The Globalization of the American Psiche edito da Free Press USD. In poco più di trecento pagine il giornalista Ethan Watters descrive il processo attraverso il quale, lentamente ma inesorabilmente, il mondo ha adottato il modo di pensare americano sulla malattia mentale.

Primo obiettivo di Watters è farci capire come sta avvenendo la colonizzazione del discorso sulla malattia mentale. Attraverso una serie di studi di caso, come l’aumento dell’anoressia a Hong Kong, la schizofrenia in Madagascar e i disturbi depressivi in Giappone, Watters dimostra che contribuiscono diversi fattori: le case farmaceutiche in primis, ma anche il grande ascendente culturale ancora esercitato dagli Stati Uniti. Per molti l’America rimane l’emblema del progresso scientifico e tecnologico. Il mito scientista viene indebitamente esteso alla medicina e alla psichiatria.

La chiave di tutto per comprendere l’approccio d’oltreoceano è il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM), lo strumento diagnostico per disturbi mentali più usato al mondo, di cui si attende, con grande impegno di risorse da parte dell’Associazione degli Psichiatri Americani, la pubblicazione della quinta edizione entro il 2013.

Il giornalista americano ci fa vedere come e quanto velocemente il vocabolario della sofferenza e del disturbo mentale proposto dal DSM abbia sostituito i linguaggi delle realtà locali, i contesti specifici in cui emergono i disturbi e soprattutto l’attenzione alle storie di vita.

La psichiatria americana, è questa la tesi più generale di Watters, non cerca solo di esportare i concetti sulle malattie, ma le malattie stesse. Nella sua strategia colonizzatrice essa crea alleanze con le multinazionali del farmaco e con un sistema dei media disponibile a promuovere le ossessioni di normalità e onnipotenza che accompagnano la nostra quotidianità

Il libro ci mette in guardia dalla medicalizzazione della psichiatria incarnata dal DSM senza però dire cosa fare. Probabilmente è una scelta giusta perché per avvicinarsi a quest’interrogativo ci vorrebbe un altro libro.

Di sicuro la lettura di Crazy Like Us conferma un fatto forse banale per chi si occupa di salute ma che vale la pena ribadire: tradurre la malattia mentale in diagnosi è un atto di estrema importanza.

Ancora una volta, l’inesausto tentativo di ridurre la malattia mentale a un’anomalia del cervello è il filo rosso sotteso alla “globalizzazione della psiche americana”. Watters ci dimostra quanto la narrazione riduzionista si stia diffondendo e si stia sostituendo alla comprensione locale e specifica dei disturbi. Con un unico risultato sicuro: la riproduzione, in tutte le latitudini, dello stigma nei confronti delle persone affette da disagio psichico.

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