6a00d8341c72e853ef00e54f74a2818833-800wiCon questa testimonianza ritrovata negli archivi  chiudiamo per ora

su questo tema. Sappiamo che bisognerebbero tenere accese le luci

tutti i giorni. Moltissimi ancora non sanno.

Giovanni Sai, Direttore dell’Opedale Psichiatrico Provinciale “Andrea di

Sergio Galatti” e annessi Istituti, nell’agosto 1945 riprendeva il

tradizionale invio di relazioni annuali alla Provincia di Trieste

descrivendo l’ultimo periodo bellico:

“A fine dicembre [1943] si presentarono due ufficiali delle S.S.

germaniche chiedendo le distinte di tutti gli ebrei ricoverati negli

ospedali di San Giovanni, e affermando di essere a conoscenza del

fatto che vari israeliti perfettamente sani, erano stati accolti –

connivente il direttore e il primario Costantinides – all’Ospedale

psichiatrico per sottrarsi a eventuali misure restrittive disposte da

parte delle autorità tedesche. Di fatto il Comprensorio si era prestato

quale rifugio per giovani determinati a sottrarsi al reclutamento, in

particolare nascosti nelle “Casette malattie contagiose, adiacenti alla

Casa domenicale”, dove avevano stabilito nella fogna cementata un

piccolo deposito di bombe a mano. I due agenti delle S.S. vollero

difatti interrogare tutti gli ebrei ricoverati all’Ospedale psichiatrico e,

dopo gli interrogatori, parvero convinti di essersi trovati di fronte a

dei veri ammalati. Senonché il 28 marzo 1944, nelle ore meridiane, un

gruppo di agenti delle S.S. entrò con un’autocorriera nello

stabilimento, nonostante le proteste dello scrivente chiedente

l’esibizione di un ordine scritto e firmato che autorizzasse il loro

procedere. Irruppero nei padiglioni dell’Ospedale psichiatrico e dei

cronici caricando in tutto i 37 israeliti (24 psichici e 13 cronici)

sull’ autocorriera che parti per ignota destinazione. Ai sofferenti erano

state fatte a tempo iniezioni di morfina, giacché i soldati delle S.S.

cacciavano anche gli ammalati gravissimi nella corriera, senza alcuna

pietà per le loro sofferenze e il loro strazianti lamenti. Lo scrivente

chiese ripetutamente agli agenti dove conducessero quei disgraziati,

ma non ebbe alcuna risposta. Li vedemmo partire colla ambascia nel

cuore, ben sapendo che non li avremmo rivisti mai più.”

(dal lavoro di ricerca di Lorenzo Toresini, Bruno Norcio e Mariuccia

Trebiciani sugli archivi dell’Opp di San Giovanni; ora riportato nel

libro di Gloria Nemec,  “Storie di esuli giuliano-dalmati attraverso un

manicomio di confine 1945-1970” di prossima uscita per la Collana

180, Archivio critico della salute mentale ed AB verlag, Merano)

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