POTEVAMO  EVITARE IL  SUICIDIO DI PIERLUIGI?

Pierluigi a 32 anni si è tolto la vita lanciandosi dal balcone della propria abitazione a Benevento. E’ accaduto un paio di giorni fa:  riportato sui giornali come un oscuro “dramma della follia”, sembra impossibile aggiungere altro alla notizia. E invece come Associazione di Familiari e Amici dei sofferenti psichici “La rete sociale” riteniamo che – con tutto il rispetto che merita – su casi come questo si debba fare una riflessione.

Innanzitutto desideriamo esprimere il cordoglio alla sua famiglia condividendone il dolore profondo e impotente: un dolore che può capire solo chi lo ha conosciuto frequentando il mondo appartato del disagio mentale. 

E desideriamo ricordare che bella persona era Pierluigi attraverso le parole di Angelo Moretti, presidente dell’Associazione “E’ più bello insieme” che proprio con le sue parole ci offre uno spunto di riflessione: “Pierluigi era mio coetaneo: abbiamo fatto lo stesso liceo classico, abitavamo nello stesso rione e avevamo gli stessi amici. Poi lui si è iscritto a Medicina a Roma frequentando l’università con ottimi voti come, del resto, ne aveva ottenuti a scuola. Sapevo che da anni, a causa di vicissitudini personali, aveva dei problemi psichici e che a Benevento aveva partecipato a un gruppo di auto-aiuto del dottor Vergineo. Ma quando l’ho rivisto 8 mesi fa, era irriconoscibile: non c’era più traccia del ragazzo entusiasta e pieno di vita dei tempi del liceo.  Al suo posto, c’era solo una persona profondamente provata nel fisico e nella mente. Unico legame con il passato: l’affetto con cui mi ha abbracciato e si è ricordato di me. Perciò oggi, con profondo rammarico, mi chiedo se non avrei dovuto fare di più: magari rendendomi disponibile con lui o con la sua famiglia….”

E questo è l’interrogativo che angoscia anche tutti noi. Perché un suicidio non è un malore improvviso, né un gesto estremo e incomprensibile, ma l’ultimo e il più tragico risultato di una malattia mentale che spesso non ha imboccato la strada della giusta cura. Ma nel chiederci se questa era una morte che si poteva evitare, non è la questione della responsabilità individuale che vogliamo affrontare – cioè, se Pierluigi si curava in una struttura pubblica o privata; se era stato adeguatamente preso in carico; qual era il programma terapeutico cui era sottoposto; qual è l’ultimo farmaco preso prima di levarsi la vita, e così via – quanto il problema della responsabilità sociale di come  viene seguito il disagio mentale.

Perchè pur nel massimo rispetto della libertà personale nello scegliere a chi rivolgersi per affrontare una malattia, la collettività dovrebbe comunque chiedersi fino a che punto tali scelte siano libere e consapevoli o siano scelte indirettamente “forzate”: dalla vergogna e dallo stigma con il quale la società guarda al disagio mentale, spingendo spesso i malati a curarsi lontano da dove abitano con tutti i disagi che questo comporta; dall’inadeguatezza delle strutture istituzionali presenti sul territorio che arrancano per seguire i pazienti: Pierluigi abitava a 500 metri dal Centro di Salute Mentale territoriale; dalle profonde lacune sul piano delle informazioni necessarie ad accedere ai servizi sanitari territoriali.

 Perciò parlando della morte di Pierluigi, vorremmo tentare anche di darle un senso: questa riflessione, infatti, dovrebbe impegnare noi tutti a evitare altri tragici episodi sollecitando la costruzione di quella “rete sociale” senza la quale è impossibile arginare il problema del disagio mentale.

Qualche proposta concreta? Di recente il Governo ha proposto un registro delle operazioni di chirurgia estetica al seno per evitare che vi ricorrano ragazze al di sotto dei 18 anni: ma non sarebbe più urgente e socialmente utile battersi perché venga realizzata una valida anagrafe dei suicidi per studiarne modalità e motivazioni?

E a proposito di disinformazione: in attesa che la Asl di Benevento realizzi quell’adeguata campagna di informazione che ci aveva promesso, perché sui nuovi elenchi del telefono non sono stati almeno evidenziati in modo corretto i recapiti telefonici del Dipartimento di Salute Mentale che, come da noi denunciato, sono sbagliati?

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